“Il mezzo scelto dall’artista è una forma materiale della sua vibrazione psichica, che chiede e impone un’espressione, se il mezzo è giusto produce una vibrazione pressochè identica nell’anima di chi la riceve.”
Vasilij Kandinskij,
sulla composizione scenica, da “Il cavaliere azzurro”
Per questo fatto speciale, che Kandiskij fa emergere dal profondo, ha senso oggi fare dell’arte.
Il mio sguardo d’artista sui dipinti, sulla drammaturgia e sullo spartito è quello che ribelle lascia la metropoli di cemento, dove il grigio impera anche nel colore della pelle, e il nero degli abiti si confonde con il buio dell’asfalto, e non fa sorridere nemmeno sapendo che è di moda. Uno sguardo che asseconda percezioni che vanno al di là del reale, un pensiero che si anima al di là del verbale, associa alle forme e ai colori i loro suoni ideali, i suoni che risuonano di dentro …quest’artista sono io, che mi accingo a realizzare un progetto assolutamente affascinante e coerente alla mia poetica di coreografa e regista. Come dice Kandiskij: “vidi nella mente tutti i colori, erano davanti ai miei occhi: linee tumultuose, quasi folli, si disegnavano davanti a me”. Questo è il mio approccio all’arte della composizione coreografica: immaginare spazi, segni, suoni, corpi, parole, voci, immagini che agiscono; tutti coinvolti in una partitura complessa, fatta di strati e stratificazioni e di paesaggi sospesi tra onirici accenti. Nasce da ciò la poetica dell’incontro, della relazione tra esseri umani e concetti astratti, tra psiche e fisicità, tra colore e suono del colore, tra forma e sostanza della forma. Se questo spettacolo sarà una partitura di intenti, pensati e ripensati, vissuti e codificati, mi piace credere alla forza delle chance operations, quell’astratto intervento del caso che modifica meravigliosamente quanto è scritto e deciso e quanto ogni occhio che osserva decide di vedere, trattenere o dimenticare. Questo progetto artistico avvalora ciò che da anni cerco di raccontare: la Danza non è Balletto, la danza è “risonanza interiore del movimento”.
Per questo motivo lavorare al Suono Giallo è una sorta di rivendicazione della forza dei sensi, riportati alla loro primordiale potenza. Il concetto di sinestesia, come magica, astratta relazione tra essi, riconduce ad una contaminazione tra gli agenti artistici, per una nuova e avventurosa percezione del reale.